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spazzolino-idropulsoreGli impianti dentali sono radici artificiali che sostituiscono i denti naturali mancanti, e in quanto tali trasferiscono il carico masticatorio direttamente sull’osso anziché affidare ai denti rimanenti l’onere di sopportare le forze. Quando gli impianti vengono impiegati per sostituire i denti mancanti, gli altri denti naturali non vengono coinvolti. Gli impianti possono essere posizionati in quasi tutte le zone della bocca dove i denti non sono più presenti, e possono operare indipendentemente l’uno dall’altro a differenza di altri tipi di sostituzioni che dipendono, per il supporto, da molti denti. Gli impianti possono sostituire un singolo dente, pochi denti, un’arcata completa; inoltre ne bastano pochi per rendere molto più stabile, sicura e solida un’intera dentiera.

A oggi, l’impianto dentale è la soluzione più vicina al dente originale, e può e deve durare per molti anni. Per questo la manutenzione è una componente fondamentale del suo successo. In linea generale, valgono per qualsiasi impianto queste poche e semplici regole di base:

  • l’impianto e la corona che vi viene attaccata sono molto resistenti ma si possono rompere, a seguito di un trauma, esattamente come i denti naturali. Non usare i denti come utensili, indossare l’apposita protezione quando si praticano sport di contatto;
  • l’usura è un altro elemento che in misura variabile da soggetto a soggetto può contribuire ad accorciare la vita dell’impianto. Gli impianti durano di più se si evitano gli errori più banali, per esempio masticare le penne. Digrignare i denti è una delle abitudini più nocive sia per i denti naturali, sia per gli impianti; indossare il bite ogni notte. L’usura riguarda quasi sempre le corone, e non gli impianti. È infatti fortunatamente molto più raro che l’impianto nell’osso debba essere riparato o sostituito;
  • anche se gli impianti non si possono cariare, a differenza dei denti naturali, e anche se sono molto meno soggetti alle infezioni, i batteri presenti in placca e tartaro possono compromettere l’osso che li circonda. Gli impianti dentali vanno tenuti puliti con molta, molta cura sia a casa propria, sia attraverso le visite programmate dal dentista;
  • nella maggior parte dei casi, l’impianto dentale è costituito da una vite in titanio che si graffia quando viene a contatto con un altro metallo. I graffi rendono la sua superficie più ruvida, e perciò più difficile da tenere pulita. Tenere gli oggetti metallici lontani dalla linea delle gengive. L’igienista stesso, per le operazioni di igiene di routine, usa speciali attrezzi non metallici…
  • i controlli regolari e programmati dal dentista sono imperativi; solo così è infatti possibile rilevare con la massima tempestività la presenza di eventuali problemi, e correggerli prima che diventino vere e proprie complicazioni;
  • non fumare. Il fumo ha un impatto negativo molto più forte sugli impianti che sui denti naturali.

L’inserimento di un impianto è un processo che avviene per tappe successive e che si estende per un periodo variabile, in linea di massima, tra i 3 e i 9 mesi. Nonostante esistano vari metodi implantologici, un procedimento tipico consterà quasi sempre di queste fasi in successione:

  • analisi iniziale e pianificazione. Durante il consulto iniziale, e dopo aver discusso con il paziente le possibili alternative, il dentista analizzerà la fattibilità del trattamento. In questa fase vengono fatte le radiografie panoramiche (ortopantomografie) e talvolta viene richiesta anche la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata). Vengono preparati i modelli preliminari e viene formulato un piano di trattamento scritto che illustra la sequenza del trattamento e i costi che vi sono associati;
  • Inserimento dell’impianto. È una procedura chirurgica minore e relativamente semplice che viene eseguita all’interno dell’ambulatorio odontoiatrico in ambiente sterile, in anestesia locale talvolta, ma raramente, accompagnata da sedazione conscia. Se l’osso risulta insufficiente, la sua rigenerazione può essere assicurata attraverso un certo numero di opzioni. Questa fase può essere precedente o simultanea all’inserimento dell’impianto;
  • Periodo di osteointegrazione. Anche se in alcuni casi gli impianti possono essere caricati immediatamente o a breve distanza di tempo dall’inserimento, prima di proseguire con le altre fasi del trattamento spesso si attende che l’osteointegrazione, cioè il solido collegamento tra l’osso e l’impianto, sia completa. Durante questa fase di guarigione il paziente può ricorrere, se lo desidera, a un ponte adesivo o alla sua dentiera, appositamente riadattata;
  • Fase di restauro. Una volta completata l’integrazione, gli impianti devono venire scoperti per essere trattati con una varietà di restauri – corona singola, piccolo o grande ponte, overdenture attaccata agli impianti per sostituire una dentiera mobile. La parte protesica è costruita da uno specialista o da un laboratorio appositi, interni o esterni allo studio del dentista;
  • Manutenzione. Dentista e igienista dentale forniscono al paziente tutte le istruzioni per la pulizia e la manutenzione degli impianti, e lo soppongono poi a controlli periodici per verificare lo stato di salute dei tessuti molli (gengive), il livello dell’osso, l’integrità della parte protesica.
    1. Dal dentista: 

      Durante il primo anno successivo all’inserimento dell’impianto e alla conclusione della fase protesica sono necessarie numerose visite di controllo, la cui cadenza è dettata dai bisogni individuali del paziente: stabilità dei tessuti, salute parodontale dei denti circostanti, condizioni generali di salute, efficacia delle procedure di igiene domiciliare.

     

    Le visite programmate comprendono la valutazione dei tessuti peri-implantari e della parte protesica, la rimozione dei depositi (placca, tartaro), il sostegno e il rinforzo delle procedure domiciliari, e le radiografie quando necessario. Un confronto continuo con i dati ottenuti alla fine della procedura implantologica (baseline data) può evidenziare la presenza di eventuali problemi con grande tempesitività.

    A causa del trauma chirurgico, è ragionevole aspettarsi una perdita d’osso di 0.9-1.5 mm durante il primo anno dall’inserimento degli impianti e di circa 0.02-0.15 mm ogni anno successivo, anche se non tutti gli autori concordano su queste cifre e anzi alcuni studi (Buser D, Mericske-Stern R, Dula K, Lang NP. Clinical experience with one-stage, non-submerged dental implants. Adv Dent Res 1999;13:153-161; Buser D, Mericske-Stern R, Bernard JP, et al. Long-term evaluation of non-submerged ITI implants. Part 1: 8-year life table analysis of a prospective multi-center study with 2359 implants. Clin Oral Implants Res 1997;8:161-172) condotti su ampi campioni di pazienti sembrano indicare valori molto inferiori. In ogni caso, la perdita eccessiva di osso deve essere immediatamente trattata.

    Quando l’impianto fallisce
    Le complicazioni possono essere imputabili a un numero di cause, ivi inclusi l’instabilità della parte protesica, la mobilità dell’impianto, il trauma occlusale, la presenza di componenti fratturati, dolore, infiammazione, infezione e neuropatia. Il fallimento dell’impianto può essere precoce o tardivo: nel primo caso, le complicazioni insorgono velocemente dopo l’inserimento degli impianti e non si raggiunge mai una vera e propria osteointegrazione; nel secondo caso, il problema insorge invece qualche tempo dopo in impianti correttamente osteointegrati e sui quali si è già conclusa la fase protesica. Nel fallimento tardivo la causa può essere una infezione/malattia marginale o un sovraccarico biomeccanico, un caso che è però statisticamente molto raro. Le infezioni peri-implantari – mucosite peri-implantare (infiammazione reversibile a carico dei tessuti marginali peri-implantari senza perdita di supporto osseo) e peri-implantite (formazione di tessuto di granulazione in caso di infezione batterica) riguardano i tessuti che circondano l’impianto, sono invece più diffuse in particolare nei pazienti che non eseguono correttamente le procedure di igiene domiciliare.

    Anche la mobilità dell’impianto può essere un segno di problemi significativi, e per questo la sua stabilità deve essere verificata a ogni appuntamento. La mobilità può verificarsi nel collegamento moncone-protesi, e richiede una correzione immediata; la mobilità del corpo dell’impianto è invece più grave, poiché implica una perdita di integrazione.

    La protesi e gli attacchi vengono esaminati per verificarne l’adeguatezza e la funzionalità, in quanto difficoltà meccaniche nella protesi, quali ad esempio una frattura, possono provocare uno stress occlusale eccessivo e contribuire alla perdita di osso peri-implantare. Sull’impianto non devono gravare forze indebite o stress oscclusivi, e tutte le superfici delle protesi devono essere prive di graffi, fessurazioni o danni superficiali che favoriscono la colonizzazione batterica.

    I tessuti mucogengivali
    E’ proprio grazie all’osteointegrazione che l’impianto può operare come un dente naturale; tuttavia, esso è diverso da un dente naturale nella suscettibilità alla malattie e rispetto alla rapida distruzione dei tessuti circostanti. Anche se i tessuti molli del dente e dell’impianto si assomigliano, i tessuti connettivi presentano differenze intrinseche. Il parodonto di un dente naturale è composto dall’osso alveolare, dal legamento parodontale, dal cemento radicolare e dalla gengiva, e la superficie del dente è collegata naturalmente con le fibre di collagene inserite nel cemento. Il tessuto connettivo dell’impianto presenta invece fibre di collagene che corrono parallele alla sua superficie senza che sia presente un vero e proprio collegamento; inoltre è meno vascolarizzato e contiene meno fibroblasti rispetto alle strutture gengivali che circondano il dente. Tuttavia, l’attacco di tessuto connettivo forma una barriera che protegge l’impianto sia dai batteri, sia dalle forze occlusali.

    La valutazione delle condizioni di salute dei tessuti peri-implantari comprende l’ispezione clinica dei segni di infiammazione, e la presenza o assenza di placca di depositi, placca e tartaro supra o sottogengivale viene annotata e qualificata come lieve, moderata o grave. Se il paziente esegue una corretta manutenzione degli impianti, i depositi subgengivali saranno molto lievi e il tartaro non sarà saldamente attaccato all’impianto perché la sua superficie in titanio, non porosa, ne consente la facile rimozione.

  • A casa:
    • Dopo l’inserimento degli impiantil’igiene domiciliare deve essere accurata ma delicata, evitando di intervenire sia sulle suture, sia sulla parte operata. In questa fase sono indicati gli sciacqui con clorexidina gluconato (o con qualunque sciacquo antisettico apposito) e/o l’applicazione locale della clorexidina con un bastoncino per le orecchie (“cotton fioc”) o uno speciale spazzolino (vedi immagine). Questa delicata pulizia è efficace unicamente nella fase iniziale di guarigione, al termine della quale verranno inseriti nella routine igienica quotidiana uno spazzolino morbido, un particolare tipo di filo interdentale detto “Superfloss”, lo spazzolino visibile nella prima immagine, lo scovolino (spazzolino interdentale) visibile nella seconda immagine;

    Durante la seconda fase, quando gli impianti vengono scoperti per l’inserimento del moncone, il paziente proseguirà gli sciacqui con per circa due settimane, seguiti poi dalla rimozione meccanica dei depositi e della placca con uno spazzolino morbido o con altri strumenti. Anche in questa fase l’applicazione di clorexidina proseguirà con cadenza quotidiana;

  • Fase di restauro
    • quando il tessuto è maturato in maniera adeguata e si passa alla fase protesica, il dentista e/o l’igienista modificheranno ancora i criteri igienici che il paziente deve seguire a casa, rinforzando i principi della manutenzione domiciliare in funzione dell’accessibilità dell’impianto (o degli impianti), della destrezza del paziente e del design della protesi finale. Uno degli strumenti per il controllo della placca intorno al moncone è rappresentato dallo spazzolino sulculare, uno speciale spazzolino morbido dotato di sole due file di setole per inserirsi nel solco gengivale, oppure, per i pazienti meno abili, uno spazzolino elettrico con testine multiple che consente pieno accesso intorno al moncone. Il filo interdentale può essere impiegato anche per applicare la clorexidina gluconato.
    • Particolare cura dovrà essere garantita quando la parte protesica non è rimuovibile ma è fissata all’impianto: spazzolini elettrici, filo interdentale montato sul suo speciale supporto che ne rende più facile l’uso, scovolino e altri strumenti interdentali si accompagneranno a sciacqui con clorexidina o altri agenti antisettici per garantire la massima igiene possibile anche nelle zone difficili da raggiungere, o a irrigazioni con l’apposito erogatore il cui flusso sarà diretto in particolar modo verso i punti di contatto e il cui uso completerà la procedura di igiene quotidiana per rimuovere dalla bocca i materiali staccati ma non eliminati;
    • nel caso di protesi mobili, gli attacchi protesici e i monconi dell’impianto saranno puliti quotidianamente come parte del programma personale di igiene. I depositi mineralizzati si sviluppano infatti molto rapidamente e  possono interferire con il corretto alloggiamento della dentiera. Si farà uso di un filo interdentale in nylon, abrasivo a sufficienza da rimuovere i residui dai monconi e dagli attacchi.  Inoltre, tutte le superfici della protesi devono essere pulite con uno speciale spazzolino rigido per dentiere almeno una volta al giorno.
  • In conclusione, poiché i fattori relativi all’igiene domiciliare degli impianti sono massimamente critici per la loro salute e sopravvivenza, e poiché dopo l’inserimento degli impianti sono imperativi i controlli periodici, è evidente che in caso di impianto, il rapporto con il dentista sarà una relazione a lungo termine, nella quale a ogni visita egli motiverà il paziente a proseguire il regime già adottato, lo modificherà se necessario, rispiegherà le procedure indicate se l’igiene domiciliare si rivelasse inadeguata, e risolverà con grande tempestività qualunque problema relativo all’occlusione, alla parte protesica o alla mobilità dell’impianto.

    La reazione biologica dell’impianto ai batteri patogeni ha un forte impatto sul suo successo a lungo termine, e proprio le variazioni nel suo stato di salute possono indicare se sta guarendo, fallendo, o se è fallito. Per questo è vitale il confronto continuo tra le condizioni iniziali di salute dell’impianto e quelle che si presentano successivamente – condizione che può essere garantita se e solo se ci si affida a un dentista di fiducia, possibilmente non troppo lontano da casa.

    L’impianto in via di guarigione mostra una ridotta perdita d’osso senza infiammazioni cliniche, anche se la profondità delle sacche è importante, purché non siano presenti perdite di sangue. L’impianto che sta fallendo presenta notevoli deterioramenti che risultano sempre più evidenti a ogni visita di controllo. Sono presenti infiammazione accompagnata da sanguinamento, edema (gonfiore), rossore, essudato. La mobilità è assente, ma è rilevabile radiograficamente la perdita d’osso. L’intervento sull’impianto che sta fallendo può avere successo purché venga identificato ed eliminato il problema, e comprende in genere la detossificazione della superficie dell’impianto e piccoli interventi chirurgici. Il fallimento dell’impianto è multifattoriale, e la sua causa primaria può anche non essere identificabile. Il progredire dell’infiammazione e le forze traumatiche possono provocare la distruzione dell’osso. L’impianto fallito presenta segni evidenti di infiammazione clinica, perdita d’osso radiologicamente rilevabile, mobilità clinica. L’impianto fallito non può essere trattato, e deve venire sostituito.

     

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