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1) Prima Soluzione grande rialzo del seno mascellare

Per valutare se è possibile inserire un impianto il dentista deve accertarsi che il volume osseo del paziente sia sufficiente per sostenerlo. Se il volume dell’osso non risulta adeguato bisogna procedere all’intervento di rialzo del seno mascellare, conosciuto anche come il sinus lift.

L‘approccio laterale al rialzo del seno è indicato in presenza di una cresta di altezza inferiore a 5 mm.

In questa metodica, il lembo oltre ad interessare l’area priva di denti, riguarderà la porzione più esterna dell’osso mascellare.

Si esegue difatti una finestrella ossea che viene in seguito ribaltata per accedere al seno mascellare. Dopo aver sollevato anche qui la membrana, si procede al riempimento con il materiale da innesto.
A distanza di 6-9 mesi è possibile inserire l’impianto.

Il rialzo del seno mascellare, tipo di intervento con il quale si rialza il pavimento del seno nasale per aumentare il volume osseo necessario per l’inserimento degli impianti dentali, viene svolto quando al paziente manca l’osso mascellare. Questa insufficienza ossea può avvenire per diverse ragioni, ma il più comune è la prolungata mancanza dei denti.

Come avviene un intervento di rialzo del seno mascellare

Quando il dentista propone un rialzo del grande seno mascellare, il paziente che non si è mai sottoposto a un’operazione di questo genere è colto da perplessità soprattutto presupponendo il dolore post-operatorio. Tuttavia si metterà in atto un protocollo farmacologico volto a minimizzare il dolore postoperatorio e le eventuali complicanze.

Il successo dell’inserimento di nuovo osso rende gli impianti inseriti su un rialzo durevoli esattamente come gli impianti eseguiti su un osso naturale. I materiali utilizzati per eseguire il rialzo dei seni mascellari possono essere sintetici di ultima generazione, quali ad esempio il grafton o il biooss, solo per citarne alcuni, oppure naturali, qual è ad esempio il proprio osso, prelevato solitamente dalla arcata inferiore.

Solitamente in fase pre-operatoria si opta per il materiale sintetico, sempre biocompatibile, e se sono già presenti almeno 4 millimetri d’osso è possibile inserire, contestualmente all’operazione di rialzo, l’impianto corrispondente. In questo modo, è evidente, che i tempi di inserimento dei denti definitivi si accorciano notevolmente. Le tecniche di rialzo del seno mascellare sono essenzialmente due: la prima per via crestale la seconda per via laterale.

Rialzo a partire dalla zona crestale

Quando il volume dell’osso corrisponde ad almeno 4 mm si utilizza la tecnica che agisce sulla membrana di Schneider la quale viene sollevata. Lo spazio fra la membrana di Schneider e il pavimento dei seni mascellari può essere sia riempito con materiali ossei artificiali che lasciato vuoto, affidando la formazione di tessuto osseo al coagulo ematico che riempie la cavità neoformata. In questi casi è possibile effettuare l’impianto all’interno della stessa seduta e subito dopo l’intervento di rialzo.

Rialzo mediante la parete laterale del seno

La membrana di Schneider può essere sollevata anche aprendo una botola sulla parete laterale del seno. Di norma si ricorre a questa seconda opzione quando le creste dell’alveolo hanno un volume inferiore ad un millimetro. Per ripristinare gli alveoli in altezza si inserisce materiale osseo, artificiale o naturale, nello spazio esistente fra la membrana ed il pavimento del seno. Sebbene anche in questo caso gli impianti possono essere inseriti contestualmente all’intervento, si usa attendere sino a quando il materiale da innesto non è completamente consolidato.

Qual è lo scopo del rialzo del seno mascellare?

Non è possibile inserire gli impianti dentali se non abbiamo uno spessore sufficiente dell’osso che manterrà l’impianto. Purtroppo, quando perdiamo il dente, l’osso che una volta lo teneva si atrofizza e perde volume. Per aumentare il volume dell’osso nella mascella superiore dove inseriamo gli impianti, pratichiamo il rialzo del seno mascellare. Con la procedura del rialzo del seno mascellare aggiungiamo osso alla cavità nasale sopra la mascella superiore. Solitamente questa procedura si esegue contemporaneamente all’inserimento dell’impianto, ovviamente, se c’è almeno un po’ d’osso.

2) Seconda Soluzione con innesto d’osso autologo

Il prelievo del ramo mandibolare

L’incisione iniziale in caso di prelievo da ramo mandibolare è intrasulculare, parte dalla linea distale del secondo molare inferiore e corre posteriormente fino all’aspetto vestibolare del trigono retromolare medialmente alla linea obliqua esterna. Questa incisione termina sul processo coronoideo ad un’altezza non superiore a quella del piano occlusale.

L’incisione di accesso sarà invece crestale in caso di assenza di elementi dentari o paramarginale in presenza di impianti o elementi protesizzati.

Dopo aver scollato il lembo, un retrattore di Misch o una semplice pinza emostatica vengono posti alla base del processo coronoideo, per consentire migliore visibilità e accesso al sito; con una fresa a fessura, una sega reciprocante, un disco o un dispositivo piezoelettrico si praticano le osteotomie per delimitare il blocco secondo la cosiddetta sequenza SAPI: sagittale, anteriore, posteriore e inferiore.
Con uno scalpello piatto il blocco viene lussato lateralmente e posto in soluzione fisiologica.
L’anatomia locale permette di prelevare un blocco di misura massima pari a circa 30 x 40 x 4 mm; chiaramente l’operatore può scegliere di eseguire un unico prelievo o più prelievi di dimensioni inferiori secondo necessità e scegliendo la tecnica che più si confà al caso in analisi e all’esperienza dello stesso.
Dopo le dovute procedure di emostasi, il lembo può essere suturato su un unico piano con punti staccati o con una sutura continua interconnessa.

Prelievo dalla Sinfisi Mentoniera

L’accesso alla sinfisi mentoniera avviene tramite incisione intrasulculare in gengiva aderente o in mucosa. Un’incisione orizzontale in mucosa parte distalmente al canino ed arriva distalmente al canino contro laterale a circa 2 – 3 mm dalla giunzione muco gengivale, seguita da una dissezione a spessore parziale per circa 3-4 mm in direzione apicale.
Lo scollamento di un lembo a spessore totale espone la zona della sinfisi mentoniera.
Dopo aver disegnato con una matita le linee osteotomiche sulla corticale le stesse saranno poi effettuate con una fresa a fessura, una sega reciprocante, un disco o con un dispositivo piezoelettrico, come osservato più su.
Le linee di osteotomia devono incrociarsi fra di loro per facilitare il distacco del pezzo, e uno scalpello piatto permette di liberare il blocco che verrà posto in soluzione fisiologica fredda.
In condizioni anatomiche normali, si considera possibile prelevare un blocco cortico-spongioso di circa 30x10x5 mm.

La sutura del sito donatore avviene per piani:

  1. Viene dapprima ripristinata l’anatomia del piano muscolare con filo riassorbibile.
  2. In seguito, si sutura il piano mucoso con punti staccati, con l’applicazione opzionale di un bendaggio extraorale elastico-compressivo.

Gli interventi di prelievo di osso autologo dalla teca cranica sono stati effettuati

I blocchi di osso autologo, di dimensione corrispondente al difetto osseo da ricostruire, sono stati prelevati in anestesia generale dalla regione parietale della teca cranica, utilizzando la tecnica splitting-in-situ proposta da Paul Tessier nel 1982.

Una volta osteotomizzati completamente i margini, il frammento è stato mobilizzato e staccato mediante scalpelli di differente angolazione.

Il sito ricevente è stato esposto tramite un’incisione a tutto spessore e ribaltamento di un lembo mucoperiosteo, e i blocchi di osso sono stati sagomati secondo la morfologia e le dimensioni del difetto. L’osso corticale dei siti riceventi è stato perforato con una fresa rotante di 1 mm di diametro per aumentare l’apporto sanguigno dai vasi endossei e i blocchi d’osso sono stati fissati con viti da osteosintesi di 1,5-2 mm di diametro per ricostruire la cresta alveolare.

Tutte le intercapedini tra i blocchetti d’osso e il sito ricevente sono state riempite con osso autologo particolato.

La chiusura dell’accesso chirurgico è stata ottenuta dopo un’incisione di rilascio periostale di entrambi i lembi mucoperiostei, buccale e linguale, con suture 3-0.

Prelievo dalla cresta iliaca

L’intervento si esegue in narcosi; si pratica un’incisione cutanea rettilinea di circa 8-10 cm di lunghezza in corrispondenza della cresta iliaca. Dopo l’incisione del tessuto sottocutaneo si individua il rafe che unisce i muscoli trasverso e obliquo interno dell’addome con i glutei, questo è sezionato per una lunghezza corrispondente a quella dell’incisione cutanea, i muscoli sono divaricati e si accede dunque al piano osseo. Una sega da osso è utilizzata per disegnare il lembo da rimuovere. Si disegna il box osseo, che ingloberà corticale e una certa quantità di midollare.
A questo punto è importante curare l’emostasi del sito donatore che viene tamponato con spugne di collagene. Si procede quindi alla sutura.
Una volta rimosso dalla sede naturale, il tessuto prelevato deve essere immerso in una soluzione isotonica per impedirne la disidratazione e mantenuto a temperatura ambiente. I tempi di attesa tra il prelievo e il posizionamento devono essere i più brevi possibile, per aumentare la possibilità di mantenere vive le cellule all’interno dell’innesto[7].

Prelievo dalla teca cranica

Con paziente chiaramente in stato di narcosi, si procede a lavaggio del cuoio capelluto con iodopividone; a questo punto tracciata la linea d’incisione, con il bisturi (deve essere almeno di 5 cm.) si procede alla scheletrizzazione con una fresa da osso a rosetta. L’area da scheletrizzare è in relazione alla quantità di osso di cui si necessita, ma deve mantenersi a 2 cm dalla linea mediana, lateralmente non bisogna invadere l’area del muscolo temporale e anteriormente stare dietro alla sutura coronale.

L’inizio di un sanguinamento più importante ci segnala di aver superato la corticale esterna, una riduzione della resistenza ci conferma il raggiungimento di questa situazione ed il fatto che dobbiamo arrestare il nostro approfondirci. Completato il solco perimetrale mediante martello metallico e scalpelli a diversa curvatura (90° e 120°), si procede al distacco del frammento. Le dimensioni e la forma delle stecche sono predeterminate in relazione alle sedi ossee da ricostruire, ma non dovrebbero superare i 30 mm di lunghezza e i 15 di larghezza (diversamente è facile incorrere in fratture).
Gli innesti vanno conservati come già detto per i prelievi da cresta iliaca. La faccia cruenta del sito donatore solitamente è sanguinante; un controllo dell’emostasi può essere ottenuto mediante spugne di collagene.
Si procede a suture e alla realizzazione di un bendaggio.

Il prelievo dell’innesto a blocco si effettua di solito da siti intraorali come il mento o l’angolo mandibolare. Solo in casi di innesti molto estesi bisogna far ricorso a siti extraorali, per esempio, l’anca o la teca cranica. L’osso può essere prelevato a forma di blocchetti che sono sagomati e fissati nel sito ricevente mediante piccole viti di titanio (viti trans-corticali)

La nostra soluzione Alternativa sia all’innesto d’osso autologo, sia al grande rialzo del seno mascellare, quando siamo in presenza di grave atrofia mascellare, con assenza parziale o totale di quantità ossea mascellare posteriore.

LA NOSTRA ALTERNATIVA FISSA: “Cerchiaggio di seno mascellare con Impianti dentali Pterigoidei”

L’intervento viene effettuato o preferibilmente in sedazione cosciente associata ad anestesia loco-regionale. Classicamente l’impianto pterigoideo deve essere solidarizzato a due impianti anteriori inseriti in regione premolare. Nel caso di buona quantità ossea a livello del tuber è possibile scegliere tra due angolazioni di fresaggio: con maggiore o minore inclinazione rispetto al piano occlusale. Data la posizione dell’impianto o pterigoideo è possibile eseguire un carico immediato o anticipato per gli altri impianti anteriori inseriti contemporaneamente.

L’emergenza dell’impianto, inoltre, risulta sempre in cresta in una sede agevolmente spazzolabile. Nel caso non corrisponda ad alcun elemento opponente è preferibile protesizzarla con un semplice elemento di raccordo per favorire le normali procedure di igiene.

Seguire la giusta inclinazione è il punto più critico della manovra chirurgica che viene eseguita senza l’ausilio di slot e reperi visivi diretti. Nel primo tratto della preparazione (8-10mm) viene attraversato un tessuto osseo di scarsa densità; successivamente, al raggiungimento della lamina pterigoidea, la densità aumenta.

Il pericolo maggiore sta nella possibilità di lesioni vascolari a carico dell’arteria mascellare interna. In realtà è stato dimostrato che all’entrata della fessura pterigomascellare si trova tra 23 e 28 mm dal bordo inferiore della giunzione tra tuber e processo pterigoideo7. Ciò significa che una fresa inserita a livello del processo alveolare posteriore per un massimo di 19 mm e diretta obliquamente verso il processo pterigoideo non può raggiungere l’arteria.

Entrambe le metodiche permettono il restauro implantare dei settori posteriori del mascellare atrofico e l’inserimento di impianti in osso “nativo” cioè evitano la necessità di utilizzo di innesti osseo che innalzano il rischio di insuccesso implantare.

Infatti, quando è necessario l’uso di innesti ossei crestali o endosinusali, oltre ad un allungamento dei tempi per la protesizzazione, si somma al rischio implantare, il rischio di attecchimento dell’innesto con l’abbassamento della percentuale di successo generale. Esistono dei limiti all’uso di impianti zigomatici e pterigoidei: per gli impianti pterigoidei vi è un’importante limitazione anatomica, costituita dal volume osseo del tuber maxillae che condiziona la possibilità di inserimento dell’impianto mentre per lo zigomatico, tale limitazione risiede nel volume e conformazione del pomello zigomatico che deve avere dimensione e volume sufficiente all’ancoraggio dell’impianto.

Riteniamo quindi che, nel ampio raggio delle possibilità chirurgiche preprotesiche che abbiamo oggi a disposizione per la risoluzione dei casi di estrema edentulia mascellare posteriore, queste due tecniche, con i loro limiti e caratteristiche, rivestono due delle più utili ed importanti possibilità che la conoscenza e la tecnica chirurgica ci ha messo a disposizione.

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